Sabato
sera, ormai otto giorni fa, ho vissuto la bella esperienza fatta dentro la Casa
Circondariale di Lodi, ed ecco alcune considerazioni a mente fredda.
Intanto,
una platea attentissima quale quella dei carcerati penso che sarà difficile
riaverla. Attentissima e competente, visto le domande azzeccate che hanno posto
al momento della discussione.
Quindi
mi ha impressionato il clima disteso che c’era tra carcerati, agenti
di sicurezza e direzione. Un rispetto
reciproco pieno di tante buone intenzioni che mi auguro avranno modo di
sbocciare nel tempo più che mai. Sembrava che l’umanità, che spesso è assente
tra le sbarre, avesse avuto un momento di vittoria sulla disperazione, sulla violenza.
E
poi mi ricordo tanti flash, un temporale che incombe prima dello spettacolo, e
siamo nel cortile del carcere, e Suor Tiziana, sorridente parla di Sant’Antonio
che tracciava col dito indice un cerchio in cielo e diceva che lì non sarebbe piovuto. E mentre
dice questo, traccia anche lei quel cerchio magico. Inutile dire che per tutta
la serata tuoni, fulmini e saette creano una baraonda in lontananza, tutt’attorno
al perimetro dove siamo, ma al massimo due goccie due ci bagnano.
E
poi l’emozione nel leggere i nostri brani, nel fare quelle scene senza Paola,
che purtroppo aveva avuto un malore ed
abbiamo dovuto sostituire all’ultimo momento, a turno.
Lo
spettacolo è andato benissimo, i problemi tecnici e ambientali che si
prospettavano all’inizio sono stati superati alla grande. Bravo anche il sonico
che ha risolto ogni problema acustico ed all’agente che ci ha fornito quello
che ci serviva per la scena. Ci hanno raggiunto nel palco i reclusi che avevano
partecipato ad un lavoro interno che aveva portato alla realizzazione di tre
cortometraggi, di cui due sono stati proiettati
durante lo spettacolo. In pochi minuti, durante lo spettacolo, mi
sono dimenticato che stavamo nel cortile
di un carcere.
Finito
lo spettacolo chiacchieriamo a lungo, abbracci, scambi di battute, c’è un’atmosfera
particolare, difficile da ritrovare nel mondo spesso un po’ algido e un po’ ipocrita delle persone cosiddette
“normali”. E’ un’atmosfera che, mutatis
mutandis, è in parte simile a quella dei pranzi con gli amici barboni a Santa
Lucia al Gonfalone. Intendiamoci, chi scrive non è Madre Teresa di Calcutta,
tutt’altro, solo che l’atmosfera che si vive in certe situazioni è
irripetibile. L’importante è aprire il
proprio animo e ricevere, perché egoisticamente dalla sofferenza altrui si
ricava tantissimo, molto più di quello che si è capaci di dare. E’ uno scambio
di umanità, gratis, perché nessuno chiede nulla e nessuno dà nulla ma tutti
insieme si dà tantissimo.
Ricordo
alcuni reclusi, un ragazzo marocchino di Beni Mellal, che strano, una delle
poche città del Marocco dove sono stato, a parte quelle più conosciute
turisticamente, mi sono imbattuto proprio in lui. Che si ripromette di cambiare
vita, un suo compagno marocchino mi dice che ci potranno riuscire se
cambieranno le cattive compagnie, sembrano sinceri, la voglia di rifarsi la
vita è forte per tutti, anche chi non ha grandi prospettive, come un alto e simpatico
signore, recluso anche lui, fa il bibliotecario del carcere e si ostina, quasi
costringe i suoi compagni a leggere un libro. Se leggi un libro “evadi” questo
il suo motto…
In
un altro post parlerò di come si svolge lo spettacolo, qui mi sono dilungato
troppo e termino coi ringraziamenti. La prima che devo ringraziare è Lucia Lasciarrea
perché grazie al Teatro Betti ho potuto partecipare a questo evento. Poi a Monica
Callori di Vignale, regista Rai, che con grande semplicità ed umiltà, senza far
pesare alcunché, ci ha spronato, coccolato e diretto, Tiziana Longhitano, Suora
In incognito in carcere, sempre pronta a donarci ottimismo e sorrisi, oltre che
una grande cultura. Grazie ai compagni di avventura della PodeRosa, Gianni Ialongo,
Maria Antonietta D’Erme, Luciano Tribuzi e Paola Santamaria,
Fondamentale
la presenza di Antonello Pasini, fisico e ricercatore del CNR, esperto di
clima, che spiega in modo chiaro e per niente cattedratico tutto quello che vorremmo
sapere sui cambiamenti climatici, non per niente il titolo “Il Kyoto fisso”.
Grazie a tutte le guardie carcerarie, a cominciare dal loro capo, mi sembra si
chiami Raffaele, una persona molto rispettata e stimata anche dai detenuti. E
non posso neanche ignorare la figura della dottoressa Stefania Mussio,
Direttore del Carcere. Una figura femminile che non nasconde la propria
femminilità eppure nel contempo, in un ambiente così maschile, è anche lei
molto rispettata e ben considerata da tutti, agenti e reclusi. Sicuramente una
donna intelligente che ha delle ambizioni, ma dalle sue parole è uscita fuori soprattutto
una grande voglia di realizzare dei progetti, è una che ama il lavoro che fa,
sia pure conscia delle mille difficoltà. Mi ha colpito la frase che ci ha
detto: “qui, a differenza di carceri più “prestigiosi” e più grandi, io conosco
tutti uno per uno, nomi e cognomi, conosco le facce, conosco le persone, che
non sono più semplici numeri, ed è per questo che ho scelto di stare a Lodi”.
Infine
l’avventura a Lodi non sarebbe stata possibile senza due personaggi
straordinari come Giacomo Camuri e Giannetta Musitelli e la loro associazione
Culturale “Laboratorio degli Archetipi”. Il nostro spettacolo è stato l’ultimo “round”
di un percorso di laboratorio svolto da loro nel carcere insieme ad alcuni
volontari. Abbiamo visitato il loro ufficio-laboratorio, siamo rimasti
affascinati dalle scenografie che c’erano, sembravamo tanti “Alice nel paese
delle Meraviglie”
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