
Saranno queste giornate di pioggia, il giorno dei morti
appena passato, sarà che con gli anni tornano in mente vecchie storie, ma ecco
che improvvisamente mi torna alla mente
quella ragazza che conobbi tanti anni fa in una piccola palestra ai
parioli, che era di un mio amico di gioventù, di quelle amicizie estive di mare
e spiagge del litorale romano.
Lei era una ragazza taciturna, bruna, una bella ragazza ma
non appariscente. Una di quelle ragazze che non vogliono proprio apparire,
anzi, a ben vedere, una di quelle ragazze
che certe volte preferirebbe “sparire”.
Ci eravamo incrociati in palestra, forse presentati dal mio
amico proprietario della palestra. Io ero molto più giovane di adesso, sono
passati crca 22 anni, avevo poco più di una trentina di anni, lei doveva avere
appena superato i venti anni. Mi appariva ancora più ragazzina di quello che
era, ma non perché non sembrasse matura, ma perché sembrava un uccellino alla
ricerca di un nido, di uno protezione, di un affetto, di un “motivo”. Ecco,
sembrava proprio una persona che avesse perso “motivi” validi per entusiasmarsi
di un idea, per fare progetti, per intraprendere qualcosa.
Parlavo di quello che facevo, dei miei interessi, del lavoro
ed a un certo punto le chiesi: che fai? E lei, incrociando il suo sguardo
triste col mio, mi disse…” niente. Non faccio niente”.
Mi rimase impresso quella sua risposta, e soprattutto COME
disse “non faccio NIENTE”.
Tentai di sdrammatizzare
quel “NIENTE” aggiungendo uno
stupidissimo: “beata te!”, che non significava nulla. E infatti, non avevo
capito nulla.
No, beh, aggiunse, andrò a Londra a studiare l’inglese, ma
lo disse come se fosse una cosa che avrebbe dovuto interessare qualcun altro,
non lei.
I miei rapporti con P. furono solo queste chiacchierate
casuali in palestra, davanti ad una bibita. Provavo per lei una specie di tenerezza, di
senso di protezione, come se fosse una mia sorellina minore. Mi incuriosiva
moltissimo come persona, capivo che aveva
alle spalle come dei grandi segreti, un mondo ignoto distante da me, che
non potevo capire ed infatti non capivo.
Un giorno mi raccontò parte della sua storia, il resto
purtroppo lo seppi solo DOPO. Mi disse che era figlia di un noto personaggio ma
più che altro mi disse che era stata rapita da bambina. Rileggendo a distanza
di tempo le cronache, il suo era stato un sequestro lampo, durato pochissimi
giorni. Ma quel sequestro era rimasto in fondo al suo animo ad intristirle lo
sguardo.
Tempo dopo conobbi un altra persona che era stata rapita,
tutt un’altra storia, però capii allora come questi fatti segnino in modo indelebile le vittime.
Una storia, la sua, che ricorda quella di certe donne
narrate da De Andrè, donne segnate da un destino tragico e forte che forse già
conoscevano.
Il padre, una persona conosciutissima ed influentissima, sopratttutto
dalle sue parti, ma anche a livello nazionale, ricco, potente, aveva l’aria tipica da padre padrone. Lo conobbi il giorno
dei suoi funerali, al paese. Era vestito con un gessato, tipo quello usato dai gangster
americani, Sembrava una sorta di “padrino”, un uomo di quelli forti che
probabilemente aveva esercitato un
influsso negativo su di lei. Almeno così pensai vedendolo. Anche se era un uomo
che era diventato ricco e potente anche grazie ad un suo passato di militanza
politica che probabilmente era stata anche intrisa di un qualche valore ideale,
finendo però negli ultimi anni di vita a combattere con scandali ed impicci
giudiziari. Ma queste sono altre storie
Sì, i funerali. Perché, dopo qualche settimana, non l’avevo
più incontrata in palestra, il mio amico mi disse: Ti ricordi P.? E’ morta
ieri, uno strano incidente stradale. Si sospetta addirittura che il suo
fidanzato l’abbia buttata fuori dalla macchina in corsa.
Mi sentii come colpito da un pugno nello stomaco. Ci sono
delle persone di cui non te ne importa un beneamato niente ed altre che ti
segnano comunque. P. mi aveva segnato, con quel suo sguardo disperatamente
triste e solo. Chissà se aveva avuto il tempo di andare ad imparare l’inglese a
Londra.
Seppi dopo che si era fidanzata con un “non proprio bravo ragazzo”, addirittura uno
che era nel giro della banda della magliana. Come questo avesse potuto
diventare fidanzato di P. è una di quelle cose che non capirò mai. O forse era
solo scritto nel suo destino.
Piansi come non mi capitava quasi mai, mi maledii il non averla
cercata, magari avrei potuto salvarla,. chissà. Era un uccellino alla ricerca
di una protezione che aveva scelto un’ala
sbagliata.
Mi informai sul luogo e l’ora dei funerali, e l’indomani mi
misi in viaggio da solo, con la mia scassatissima macchina dell’epoca, su cui
non si poteva mai scommettere un arrivo a destinazione, presi l’autostrada ed arrivai ad un piccolo cimitero di paese. C’era un crocchio di persone, c’era una
piccola bara in mogano.
Salutai così P. per l’ultima volta.
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