Qualcuno dei miei forse pochi lettori si chiederà come mai ultimamente molti dei miei post siano stati segnati da un approccio molto intimistico, si parla di sentimenti, di sensazioni molto personali, di emozioni.
La risposta è semplicissima: è perché ora stò passando uno di quei rari momenti che talvolta capitano nella vita nei quali, accadimenti particolarmente “forti”, o almeno vissuti come tali, ti creano una sorta di squarcio emozionale che bypassa le nostre barriere difensive che utilizziamo normalmente per non farci sopraffare dalle emozioni stesse, diventiamo permeabilissimi ad ogni sorta di emozione, captiamo meglio i segnali che arrivano dall’esterno ma anche quelli che arrivano dal nostro interno.
Questo è il momento magico per gli artisti ad esempio, un poeta si scatenerebbe in una situazione del genere, un musicista, un pittore lo stesso. E’ una fortuna esserci dentro, l’importante e cogliere la consapevolezza del proprio stato, perché altrimenti la magia sfuma e rimane solo la difficoltà di sentirsi “senza pelle” in un mondo dove mediamente la gente è abituata ad avere non solo tutta la pelle, ma anche il pelo sullo stomaco.
Insomma, sono momenti anche di grande vulnerabilità, basta un nulla per sconvolgerti o farti piangere, quindi non è augurabile viverli SEMPRE. Persone come Van Gogh che hanno vissuto in questo modo particolare il loro genio, erano persone che si trovavano spessissimo in questa condizione, privilegiata come artista ma difficilissima come essere umano, perché può renderti difficili i rapporti col mondo esterno.
Nel mio piccolo questo “status” l’ho vissuto alcune volte, o per perdite di persone care, ma lì è solo tristezza infinita, o nell’imbattermi in qualche amore che sembra o è realmente “impossibile”, ad esempio la botta della sensazione di un rifiuto da parte di qualcuno che si ama in maniera “esagerata”, in realtà “esagerata” solo perché si è innamorati veramente, oppure la consapevolezza o la forte paura che questo amore non decollerà mai per mille motivi, la “tranvata” come la chiamo io, la testata contro il muro, è una botta tale che ti cambia la vita per un periodo. Capita soprattutto quando si “parte in quarta” senza prendere i necessari accorgimenti “anti-tranvata”. Devo dire per contro che innamorarsi in maniera bruciante di qualcuno è anche la cosa più bella che possa accadere, quindi a mio avviso un rischio da correre.
Non è auspicabile prendere troppe “tranvate” nella propria vita, sia ben chiaro, ma probabilmente forse ogni tanto qualcuna ci fa anche bene, ti rendi conto cosa vuol dire soffrire per un qualcosa che si desidera e ti apre questo mondo di emozioni particolari.
Anche le rare volte che ho lavorato in teatro molto “sul personaggio” come si suol dire, in certi casi, quando questo personaggio aveva un certo spessore, portava una carica emozionale incredibile che in qualche maniera si confrontava con la propria personale carica emozionale. La cosa stupefacente è che, chi ti stava accanto, notava il continuo passaggio tra quello che ero io realmente e il personaggio, che talvolta usciva fuori dalle tavole del palcoscenico e si intrufolava in me nella vita quotidiana come imprevisto ospite. E questo andava avanti fino all’ultima replica ed anche qualche giorno dopo. Secondo me questo fatto non è dovuto alla mancanza di distacco dell’attore dal personaggio ma è proprio insito nel rapporto attore-personaggio. Se non c’è permeazione tra i due il personaggio che viene fuori in scena non avrà mai una sua vita emozionale propria.
Come si vede, situazioni completamente diverse che portano ad una comunanza di stati d’animo molto particolari.
Ma qui entriamo in un altro discorso, quello di un teatro in italia che molto spesso è molto “accademia” e poco “emozioni”.
Spettacoli con attori bravi e registi bravi che sono tecnicamente perfetti ma spesso vuoti di emozioni. E la vera arte, che sia arte uscita dalle accademie o povera arte di strada, non è mai veramente ARTE se non suscita emozioni. Ma di questo ne parleremo in un futuro post.
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