20 anni fa la strage di via D’Amelio, nella quale persero la vita Paolo Borsellino, ed i componenti della scorta: Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Oggi, a 20 anni di distanza, non sono ancora svanite le nebbie che avvolsero quello ed altri fatti di mafia. Il sospetto che alcune delle stragi di mafia fossero in realtà anche stragi di Stato è sempre più forte e gli atteggiamenti di questi giorni delle istituzioni più alte aumentano tali sospetti invece che dissiparli.
Il caso Napolitano - Mancino, i depistaggi relativi all’inchiesta sugli accordi stato-mafia, i tentativi di delegittimare alcuni dei giudici più attivi nel combattere la mafia, come ad esempio Antonio Ingroia , procuratore aggiunto della procura distrettuale antimafia di Palermo,il procuratore Capo di Caltanissetta, Dott. Sergio Lari, tanto per fare due nomi sgraditi sia alla mafia che alle istituzioni “deviate” dello Stato.
Dio non voglia che questi due magistrati, o altri "fedeli servitori dello Stato, debbano un giorno “trovarsi” soli davanti alle bombe impacchettate dai mafiosi ma confezionate da falsi servitori dello Stato, come è accaduto precedentemente negli attentati più “rumorosi” avvenuti in Sicilia negli ultimi decenni.
Bene ha fatto e fa Salvatore Borsellino, a mantenere vivo l’interesse sulle vicende che videro coinvolto il fratello Paolo, tradito da uomini dello Stato, quello stato che oggi cerca con tutti i mezzi, persino istituzionali, di impedire che si arrivi ad una verità certa.
Parlare ancora di queste cose fa male, fa male vedere che ci sia tanta opposizione al raggiungimento delle verità, fa male vedere il Presidente della Repubblica usare le sue prerogative non per sciogliere i dubbi ma per alimentarli, non per aiutare il popolo italiano a capire, ma per continuare questa assurda “copertura” a fatti e misfatti che portarono, 20 anni fa, al sacrificio di persone le cui vite erano dedicate al 100% allo Stato, alle Istituzioni, al popolo italiano.
Vedere che questo Stato continui a comportarsi in modo così vigliacco fa male al cuore, fa male a chi ricorda benissimo quei tristi momenti, a chi ha a cuore l’Italia ed anche la Sicilia.
Rimane un ricordo di Paolo Borsellino, del suo sorriso ironico e triste di siciliano ed italiano coraggioso ma conscio di essere ormai “un cadavere che cammina”
Per terminare, ecco alcuni considerazioni di Paolo Borsellino, nel corso di un’intervista con laberto Sposini pochi giornio prima della strage:
« Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo.
Mi disse: "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano". »
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« Io accetto la... ho sempre accettato il... più che il rischio, la... condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli.
Il... la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in... in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me.
E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare... dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro. »
Infine un abbraccio a Salvatore Borsellino, coraggioso “testimonial” in favore del ricordo di suo fratello che lotta ancora per il ritrovamento di quella verità occultata che sparì quel brutto giorno insieme all’agenda rossa di Paolo Borsellino .
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