L’URLO ORA S’E’ DISPERSO
A 14 anni non si pensa al carcere, ti ci trovi "dentro" improvvisamente
e ne sei respirato e concluso. Sì, ti ci trovi dentro ed é davvero
troppo tardi. L'età più bella improvvisamente devastata nell'incontro
affascinante e frontale con il mito della trasgressione.
Io me lo ricordo bene, ero impegnatissimo a fare vedere alle Autorià di
essere un duro, e quando mi stavano portando nel "mio" primo carcere
dei minorenni ho pensato " ecco sto per iniziare finalmente''.
E' tutto accaduto in una vita precedente? No, é stato ieri.
Quando vago con la mente tra questi fotogrammi impolverati e ingialliti
dal tempo, rivedo la mia immagine scomposta e inquieta, mentre i
pensieri mi cadono addosso e raccoglierne i cocci è un'ardua impresa.
Gli anni sono trascorsi, uno dopo l'altro, passo dopo passo, uno
scarpone chiodato dopo l'altro, fino a giungere a 'quell'urlo" che ha
squarciato la notte.
Qull'urlo che ho tenuto compresso in me, sorvegliato a vista dalla mia
incredulità, contenuto nei miei tormenti, divenuto un dono prezioso da
custodire.
Svegliarmi nel buio, nel mezzo di una tempesta silenziosa, e due occhi
bellissimi scrutarmi, scuotermi. Due occhi lucidi e profondi come
l'anima che traspare al di là della coscienza, della ragione che indaga
e accusa. Con le mani fredde ed il cuore in gola, il respiro che non
esce, il dolore nei polmoni salire alla gola e fare fatica a respirare.
Affannosa ricerca di boccate d'aria mute, imprigionate, incatenate in attimi intensi di vuoto e di pieno, di vita sospesa.
Due occhi come lune inchiodate, un volto che non conosco, ma che sento tutt’intorno.
Due occhi che piangono, rimangono aperti e si distendono verso di me.
Nel silenzio di pietra della cella, I'urlo fuoriesce e taglia di netto
il sentiero praticato a occhi bendati, sgretola le abitudini
consolidate, i sussurri che impongono i piedistalli e le parole a
paravento che non stanno scritte da nessuna parte.
L'urlo esce, assorda, mi discosta e cancella la mia cella, le altre celle, i muri e gli steccati.
L'urlo si espande, rimbalza, si piega, prosegue e non smette la sua
corsa, neppure quando sono caduto in ginocchio, spossato, svuotato di
me stesso.
Quegli occhi sono sempre lì, velati di pianto, addolciti da un sorriso
leggero, come a voler ridurre la distanza siderale che mi separa da
questo reale intorno.
Occhi grandi, lucenti, lacrime che parlano di una tristezza felice, di
una gioia che non conosco e invece vorrei avvicinare, occhi che
rimangono a osservare la mia sorpresa, la mia fragilità.
Occhi bellissimi vestiti di speranza, sguardi che consentono di ricostruire e ritrovare l'uomo, sebbene nella fallibilità umana.
Quella notte sono rimasto in ginocchio tanto tempo, in una sorta di
terra di nessuno, sbattendo il viso contro una specie di cortina fatta
di barriere materiali e psicologiche, costretto fors’anche dalla mia
ostinazione a vivere del mio, in una tragedia che non ha fine, con un
passato che assomiglia ad una sera senza luce dove non si può leggere,
solo ricordare.
L'urlo ora s'é disperso, quegli occhi tanto amati sono svaniti.
I giorni, e gli anni si inseguono testardi, mi adagio sul futuro che
per me é già oggi, in un presente contenuto nel passato, poiché ogni
volta che si progetta qualcosa si modifica e si rilegge il proprio
passato con occhi e sguardi nuovi.
Ho riprodotto qui quanto mi ha scritto questo signore, mai conosciuto prima, condannato all'ergastolo, che ha compiuto un lungo percorso personale di pentimento e che oggi collabora in alcuni istituti e comunità di recupero in regime di semilibertà a Pavia. Mi hanno interessato e colpito tanto queste sue parole, inserite nel blog come commento, che ho deciso di farle diventare un post. Per dare spunti di riflessione a tutti coloro che credono di essere "perbene" e che disprezzano chi ha avuto percorsi diversi, anche se in parte sbagliati. Impariamo a capire veramente il mondo che ci circonda, e prima di giudicare qualcuno, indossiamo le sue, forse scomode scarpe, per il tempo sufficiente per capire la sua situazione. Ne abbiamo abbastanza di ipocriti e farisei.....
“Non mi reputo uno scrittore né un poeta, credo di avere qualcosa da comunicare, senza
alcuna presunzione di insegnare nulla a nessuno, o salvare alcuno dal proprio destino.
Raccontarci la nostra storia personale può significare la nascita di una amicizia, di un
sentimento gratuito, allora anche la mia storia, la mia gran brutta storia può diventare
motivo di riflessione per tentare di intravedere il pericolo dei rischi estremi, in quel mito
della trasgressione che spesso diviene devianza…e poi risalire dal baratro diventa difficile”.
(Vincenzo Andraous)
Nella stessa maniera queste parole hanno colpito me, ed è per questo che ho volute sottolinearle. Grazie ancora a chi le ha scritte (a Vincenzo Andraus)
Scritto da: alex | 07/28/2008 a 21:35
questo tuo post è stato un vero colpo al cuore: tanta verità e sentimento.
grazie dell'emozione.
Scritto da: Saamaya | 07/25/2008 a 20:00